L’implementazione di aree marine protette destinate a vietare la pesca industriale ha mostrato risultati promettenti nella salvaguardia della biodiversità marina. Un recente studio ha utilizzato l’intelligenza artificiale applicata alle immagini satellitari per affrontare le sfide legate al monitoraggio delle attività di pesca in queste zone. Questa ricerca, pubblicata sulla rivista Science, ha dimostrato che nelle aree con le misure di protezione più severe, le operazioni di pesca industriale risultano praticamente assenti.
Il recupero della fauna marina e le sfide per i pescatori illegali
Attualmente, il 9,6% degli oceani è designato come area marina protetta (AMP). La comunità scientifica internazionale si è posta come obiettivo quello di estendere questa protezione al 30% dei mari entro il 2030. Le AMP presentano vari livelli di restrizioni sulle attività umane. Alcune di esse consentono la pesca, mentre lo studio pubblicato su Science si è focalizzato su quelle aree completamente protette, definite come no-take, che vietano ogni forma di pesca, oppure su quelle in cui è interdetta la pesca industriale, permettendo solo quella su piccola scala.
Le aree marine con le restrizioni più severe sono considerate le più efficaci per la conservazione e il ripristino della fauna ittica. Tuttavia, queste stesse zone attirano anche i pescatori illegali, creando un paradosso. La mancanza di risorse tecnologiche ed economiche in molte aree rende difficile garantire il rispetto delle normative.
Scoperta delle navi “fantasma” tramite intelligenza artificiale
Un team di ricerca, guidato da Jennifer Raynor e composto da esperti della National Geographic Pristine Seas e dell’Università della California di Santa Barbara, ha analizzato 1.380 aree marine protette in cui la pesca industriale è vietata. I risultati hanno rivelato che queste zone presentano attività di pesca industriale significativamente inferiori rispetto alle acque circostanti, con una media di nove volte meno imbarcazioni per chilometro quadrato rispetto alle aree non protette. Dall’analisi è emerso che il 25% delle aree marine protette non ha registrato alcuna attività di peschereccio dal 2017 al 2021.
I ricercatori hanno inizialmente utilizzato dati del sistema di identificazione automatica, obbligatorio per i pescherecci commerciali di lunghezza superiore ai 15 metri. Questa analisi ha evidenziato poche incursioni nelle AMP negli ultimi cinque anni. Tuttavia, molte imbarcazioni non sono dotate di questo sistema, e in alcune zone la ricezione è scarsa. Alcuni pescatori illegali disattivano i transponder per evitare di essere rintracciati.
Per superare queste limitazioni, i ricercatori hanno impiegato sistemi di intelligenza artificiale per analizzare le immagini satellitari, che utilizzano impulsi radar per misurare i segnali riflessi dalla superficie dell’oceano. Questa metodologia ha permesso di identificare con precisione i pescherecci lunghi oltre 15 metri, anche in assenza di transponder attivi. La nuova analisi ha confermato l’efficacia delle aree marine protette, rilevando in media una sola imbarcazione per la pesca commerciale ogni 20.000 chilometri quadrati nelle 455 aree con maggiore frequenza di immagini satellitari. Estendendo il campione a tutte le aree con almeno un’immagine satellitare, la percentuale di AMP senza rilevamento di pesca è aumentata al 42%.
Benefici per la comunità e la biodiversità
Il metodo innovativo sviluppato dai ricercatori potrebbe rivelarsi cruciale per un monitoraggio più rigoroso delle attività illegali nelle aree marine protette. Inoltre, potrebbe sostenere gli sforzi per ampliare questi santuari della biodiversità. La presenza di aree marine protette non solo contribuisce alla conservazione, ma favorisce anche il ripopolamento delle specie nelle acque circostanti, apportando benefici a chi si dedica alla pesca legale.