L’Istituto dell’Enciclopedia Italiana ha recentemente analizzato l’evoluzione della parola vu cumprà, un termine emerso negli anni Ottanta per designare i venditori ambulanti, spesso di origine africana, che operano senza permesso. Questa espressione ha acquisito nel tempo una connotazione negativa, sfociando in un linguaggio carico di razzismo. Rocco Luigi Nichil, nel suo lavoro intitolato R&S – Ricerca e soccorso. Piccolo dizionario di parole migranti, pubblicato sulla rivista Lingua italiana, offre un approfondimento su questo fenomeno linguistico, disponibile su Treccani.it.
L’uso della parola nel contesto
L’espressione vu cumprà è stata utilizzata per la prima volta nel 1986, in un articolo di Raffaella Candoli sul Resto del Carlino, che anticipava un pezzo di Uber Dondini sulla Stampa. Gli articoli denunciavano le lamentele dei commercianti romagnoli riguardo alla presenza di venditori abusivi, per lo più africani. Da quel momento, il termine ha iniziato a diffondersi rapidamente attraverso i media, diventando un elemento ricorrente nel linguaggio quotidiano e nella televisione italiana. Un momento cruciale si è avuto nel 1988, quando Mazouz M’Barek, noto come Patrick, è stato chiamato da Antonio Ricci a condurre il varietà L’Araba felice, contribuendo alla diffusione del termine.
Il lessico migratorio e le sue implicazioni
La ricerca dell’Istituto dell’Enciclopedia Italiana, attraverso il lavoro di Nichil, segna l’inizio di un ciclo dedicato al lessico migratorio, un fenomeno che coinvolge milioni di persone e porta con sé riflessi economici, sociali, culturali e linguistici. L’espressione vu cumprà ha caratterizzato gli anni Ottanta, generando anche altre frasi con valenze negative come vu’ emigrà, vu’ campà, vu’ drugà, vu’ studià. Questo linguaggio ha trovato spazio anche nelle aule parlamentari, dove è stato utilizzato da esponenti di partiti come il Pci e l’Msi.
Reazioni e riflessioni sul termine
La forte connotazione razzista di vu cumprà ha suscitato reazioni, come quella dell’ex parlamentare Dacia Valent, che nel 1989 scrisse sull’Unità: “A quanto pare questi ‘vu’ cumprà’, ‘vu’ spazzà’, ‘vu’ ubriacà’, ‘vu’ rubà’, ‘vu’ spaccià’, ‘vu’ essere sfruttà’ e chi più ‘vu’ ne ha’ più ne metta, non sono candidati ad avere i diritti che a tutti noi competono, al di là delle cittadinanze, dei luoghi di nascita, del colore della pelle, vale a dire i diritti umani“.
La diffusione e l’evoluzione del termine
Questo neologismo, come evidenziato da Federico Faloppa nel suo saggio Razzisti a parole (per tacer dei fatti), ha avuto un’ampia diffusione nei media e nel linguaggio comune dalla seconda metà degli anni Ottanta, ma ha iniziato a scomparire all’inizio degli anni Novanta. La banca dati del Corriere della Sera conferma che dal 1993 a oggi le citazioni di questo termine sono state molto rare.
Importanza della ricostruzione linguistica
Rocco Luigi Nichil sottolinea l’importanza di ricostruire la storia di una parola come vu cumprà, poiché ciò aiuta a comprendere la complessità della storia linguistica e culturale, superando l’idea che il linguaggio e i suoi significati siano immutabili nel tempo.