Il 26 luglio 2025, alle 18:45, la Polizia di Stato ha fatto il punto sulla riapertura di diversi casi irrisolti, noti come cold case, grazie all’Unità Delitti Insoluti (Udi). Questo organismo ha analizzato oltre 300 fascicoli, riaprendo più di 60 indagini con risultati promettenti. Tra i casi emblematici vi è l’omicidio della sedicenne Manuela Murgia a Cagliari, avvenuto 30 anni fa e inizialmente archiviato come suicidio, e quello di Nadia Cella, segretaria assassinata a Chiavari nel 1996. La riapertura di questi casi ha suscitato interrogativi su come e perché delitti chiusi possano tornare sotto la luce dei riflettori.
Il ruolo della polizia scientifica
Pamela Franconieri, vice questore e direttore della IV sezione ‘Reati contro la persona’ del Servizio Centrale Operativo, ha spiegato che spesso si tratta di fascicoli “impolverati” che, dopo anni di archiviazione, vengono riesaminati con nuove tecnologie. “Il nostro obiettivo non è fare numeri, ma cercare di risolvere casi gravi”, ha dichiarato Franconieri. L’unità lavora in collaborazione con il Servizio Polizia Scientifica e le Squadre mobili locali, unendo competenze e risorse per garantire una revisione completa delle indagini.
Un caso recente che ha attirato l’attenzione è quello dell’omicidio dell’avvocato Pierangelo Fioretto e di sua moglie Mafalda Begnozzi, assassinati il 25 febbraio 1991. Grazie alle moderne tecnologie scientifiche, è stato possibile estrarre un profilo genetico dai reperti, incrociandolo con le banche dati disponibili, portando così all’individuazione di uno dei presunti autori dopo 34 anni.
Il valore delle nuove tecnologie
La Polizia Scientifica gioca un ruolo cruciale nel recupero di prove che possono portare a nuove scoperte. La corretta conservazione dei reperti è fondamentale. Franconieri ha sottolineato l’importanza di rianalizzare i casi, partendo dal profilo della vittima e dal contesto relazionale, per raccogliere informazioni che potrebbero essere sfuggite in precedenza. “È essenziale rivedere le piantine e le fotografie dell’epoca per ricreare la scena del crimine, tenendo conto delle condizioni ambientali di quel giorno”, ha affermato.
Il lavoro di revisione non si limita alla semplice analisi dei dati, ma richiede un approccio moderno, combinando tecniche investigative tradizionali con innovazioni scientifiche. Questo metodo consente di riconsiderare i casi con una nuova prospettiva, aumentando le possibilità di identificare i responsabili.
Motivi per la riapertura dei casi
La decisione di riaprire un caso è generalmente presa da un giudice su richiesta del pubblico ministero, quando emergono nuove fonti di prova. Franconieri ha evidenziato che è cruciale identificare nuovi elementi, come reperti ben conservati, che possono essere riesaminati con le tecnologie attuali. Inoltre, è possibile esplorare testimoni e percorsi investigativi precedentemente ignorati.
A volte, dopo anni, possono emergere informazioni che giustificano la riattualizzazione di un caso. Ogni indagine viene valutata con attenzione, tenendo presente la delicatezza nei confronti delle famiglie delle vittime. “Dobbiamo avere uno sguardo al passato e uno all’attualità ”, ha concluso Franconieri, evidenziando l’importanza di un approccio cauto e rispettoso.